Storia di una persona.
Barbone, o più sofisticamente chiamato anche clochard, comunque sia la sua definizione, non è importante, viene visto, o meglio, lo si vede, ma lo sguardo, viene ignorato: come ci fosse un muro.
Al di là, di quel muro, una persona che cerca solo di essere guardata.
Ma per le persone che affollano la via non solo quel muro gigantesco diventa insormontabile, ma probabilmente, viene visto come un cane randagio, senza farsi domande, oltrepassano la via, non uno sguardo che può dire, mi sono posto qualche domanda, no, sarebbe troppo stressante ed impegnativo: sarebbe come dire, ti sto guardando, mi sto preoccupando, di una persona qualunque.
Non è mia figlia, non è una mia amica, perché dovrei? Non è compito mio! E di chi? Tendere una mano, a chi? Qualunque esso sia, al prossimo, non solo, a un tuo parente, amico, l’amico che la chiede con forza anche; ma lui non chiede nulla, sta in silenzio e compostezza.
Io che a volte che passo in mezzo a quella folla, inferocita, da acquisti convulsi, e da spese a volte superflue, per un saldo che la società, mette a disposizione, per fare più presenze e più profitto; io mi sono non solo chiesta di quell’uomo o donna dimenticata, da ogni uomo e donna che passa in quella via, e dalla società, che noi siamo individui.
Credo che viviamo ormai nel benessere dell’assolutismo, cioè noi stessi non vediamo l'altro o perlomeno, non vediamo l’altro come noi stessi, l’altro è altro, è al di fuori di noi, estranio a noi. Invece, l'altro se guardiamo attentamente siamo noi uguale a noi, due gambe, due braccia, due piedi, due mani, e un capo, occhi per guardare, e pensante, di emozioni e desideri.
Ma l’altro e solamente altro, ribadisco ancora altro, è specchio di noi stessi.
Ho un ricordo che mi è rimasto impresso nella mia mente, di un giovane, seduto accanto ad un parcheggio, difficile dare un’età, composto, non chiedeva nulla, lì seduto con le gambe incrociate, un capello che copriva il suo viso, il capo inchinato, verso le sue ginocchia.
Non avevo monete da dare, e mi è dispiaciuto, ma dentro di me, avrei voluto avvicinarmi dicendogli che non avevo molto da dare, se non pochi spiccioli, pochi per qualsiasi cosa che lui avesse avuto bisogno. Dentro di me i pensieri si affollavano e mentre pensavo magari avrebbe voluto, dieci, o cinquanta, non solo per comperare, del pane magari qualcosa, che avrebbe desiderato, un suo desiderio, non basta solo pane per vivere. Anche un desiderio dà sazietà, nella vita di ogni persona, quel desiderio diventa pane.
Questo io mi sono chiesta: quello stigma che le persone danno a chi è diverso da loro stessi, ignorano che quel marchio, quello stigma, rivolto ad altri non è altro che rivolto ad ognuno di noi
MT